L'Alchechingero o Fisalide, è una radice serpeggiante, perenne dei boschi d'Italia e di Germania. Da maggio ad agosto à fiori bianchi, viene in piena terra, in esposizione ombrosa. Se ne conoscono 14 varietà. La specie, coltivata anche da noi, che proviene dal Perù, si chiama physalis-pubescens o peruviana a caule più alto e ramoso, è pianta erbacea perenne, da serra perchè non resiste sempre ai geli. Ama terra sostanziosa e leggera, dà bacche giallognole dolci-acidule, della grossezza d' un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio, e si mangia come frutta da tavola. Il suo nome di physalis, dal greco physa, vescica, perchè il frutto o bacca glandulosa e biloculare, è chiuso in un calice gonfio e vescicoloso. Il seme à virtù produttiva per 8 anni. L'infelice Carlotta, imperatrice del Messico, ne era ghiottissima. In medicina sono diuretiche, rinfrescative, eccellenti nella nefrite, idropisia, ritenzione d'orina. Vogliono concilii il sonno. Nel linguaggio dei fiori: Errore. I Romani la chiamavano herba vescicatoria. La Phisalis-Alkikingivescicaria, a palloncini, produce bacche ritenute narcotiche, ma che pure, coltivata, sono bonissime a mangiarsi. È pianta erbacea perenne dei luoghi sassosi. Più narcotica è la corteccia della sua varietà Physalis somnífera, volgarmente: Solatro sonnifero.
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giallognole dolci-acidule, della grossezza d' un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio, e si mangia come frutta da tavola. Il
È pianta erbacea annuale, sta tra il popone e la zucca e si coltiva come questa. Teme l'asciutta, ma la troppa acqua la rende ancora più insipida. La maturanza incomincia in luglio e continua a tutto agosto. Si propaga per seme che à virtù fino a 6 anni. Dal seme fresco nascono piante più grandi, ma da quello di due o tre anni, si ànno piante più fruttifere. Nel linguaggio dei fiori: Sei insipido. À frutto e carne zuccherata ed alquanto acidula, rinfrescante, frigida, estingue la sete. Ve ne sono varie qualità: la nostrana a semi neri, la napolitana a semi bianchi, dà frutto più piccino della nostrana, è di buccia più sottile e trasparente, à sapore più squisito, quanto più rossa ne è la polpa. V' è pure la specie moscatella, l'ovale, la gialla, ecc. L'anguria, o più propriamente cocumero (da Cucumis derivante pure dal celtico cucce, vaso, desunto dalla sua forma) non confà a tutti gli stomachi, è indigesta e dicono che regali quei casi di colera, che viene denominato sporadico. Alcuni medici vogliono che sia lassativo, rinfrescante, ma è certo che è frutto insipido, che mangiandone bisogna unirvi del rhum o qualche liquore, e che bisogna mangiarne poco. Negli Stati Uniti l'anguria è coltivata su vasta scala. A conoscere l'anguria quando sia matura, c' è il proverbio:
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nostrana, è di buccia più sottile e trasparente, à sapore più squisito, quanto più rossa ne è la polpa. V' è pure la specie moscatella, l'ovale, la
Sciroppo d'arancio. — Prendete 25 aranci, graticciatene leggermente la pelle gialla in 2 litri d' acqua, tiepida. Indi aprite gli aranci e con frullino fate escire la polpa ed il sugo che unirete all'acqua tiepida, meno i semi. Mettete in un bacino 10 chilogrammi di zuccaro che ridurrete sul fuoco a sciroppo a la grosse plume, e quando sia tale, versateci l'acqua col miscuglio fatto, lasciate bollire 2 o 3 minuti, togliete dal fuoco, passate allo staccio e freddo conservate in bottiglie. Cosi pure fate per lo sciroppo di limone.
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allo staccio e freddo conservate in bottiglie. Cosi pure fate per lo sciroppo di limone.
Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III, an. V). Il celebre Fontanelle, segretario perpetuo dell'Accademia, che morì a cent' anni, andava matto per gli asparagi. Un dì invitò l'abate Teerasson a pranzo e siccome l'abate amava gli asparagi al burro e lui all'olio, fu convenuto che metà si dovessero cucinare al burro e l'altra metà all'olio. Ma, giunto l'abate alla sala da pranzo, fu colto da apoplessia. A tal vista Fontanelle s'alza di repente e corre alla scala gridando al cuoco: Tutti all'olio, tutti all'olio!
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Ma fra tante lodi c'è pure la nota ingrata. Nelle Effemeridi dei curiosi della natura si legge che l'asparagio rende le donne sterili (Decad., III
La parola Beta fu sempre adoperata per indicare cosa fatua. Diogene chiamava Betae gli uomini molli ed effeminati, e lo stesso S. Agostino, per dire rendere effeminato adopera il verbo betisare e da Beta venne pure nel nostro dialetto il vocabolo zabeta e più tardi zabetta per indicare una pettegola senza sale. Si dice pure da noi:
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rendere effeminato adopera il verbo betisare e da Beta venne pure nel nostro dialetto il vocabolo zabeta e più tardi zabetta per indicare una
In Francia è usata nelle malattie flogistiche, nella nefrite, ecc. L'uso continuato diminuisce il latte. Se ne fa succo, decotto ed infuso. Quello dei fiori è alquanto aromatico. Colà pure, dalla fermentazione del sugo, se ne ottiene un liquido vinoso, di sapore gradevole, di colore bruno chiaro,
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dei fiori è alquanto aromatico. Colà pure, dalla fermentazione del sugo, se ne ottiene un liquido vinoso, di sapore gradevole, di colore bruno chiaro,
(La Baronne Staffe). Altra ricetta ghiotta assai. — Fate cocere i maron come se li doveste mangiare arrosto. Levate loro il guscio, togliete loro pure l'altra pellicola. Mettete i vostri maroni in un pignattino con un po' d' acqua e zuccaro, lasciateli cocere per un quarto d'ora, lavateli, poneteli in un piatto bagnandoli di sugo di limone e spolverateli di zuccaro vanigliato.
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pure l'altra pellicola. Mettete i vostri maroni in un pignattino con un po' d' acqua e zuccaro, lasciateli cocere per un quarto d'ora, lavateli, poneteli
seme darà 10 anni. Si educano pure nelle cantine per averne foglie più bianche, o rosse e più tenere. La selvatica, detta da nei zuccoria selvadega (intybus), è la leontodon (dal greco leon, leone, e odùs, dente). — In franc.: Pissenlit, ted.: Lövenzahan; ingl.: Dandelion; spagn.: Diente de leon — cresce nei luoghi umidi sabbiosi, e viene adoperata al principio della primavera come insalata, è amarissima. Della cicoria si mangiano tanto le foglie che la radice; è più digeribile quanto più tenera. Da noi si ciba cruda, ma in Francia si fanno molti piatti caldi. Si può metterla nelle zuppe e minestre e usarla generalmente quando è scottata nell'acqua bollente come gli spinacci. La cicoria fu detta dai latini ambuleja, dagli egizi cicorium, e dai greci hedynois. I Magi, popolo del Caucaso, per la grande sua utilità la chiamarono chreston e pancration. Galeno l'odiava e Virgilio la trovava molto amara. —
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seme darà 10 anni. Si educano pure nelle cantine per averne foglie più bianche, o rosse e più tenere. La selvatica, detta da nei zuccoria selvadega
La cicoria è pure antiscorbutica. Il dottor Baudens, medico capo della spedizione in Crimea, dichiara che ad essa va dato il merito di aver salvati i soldati dallo scorbuto: «Fortunatamente
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La cicoria è pure antiscorbutica. Il dottor Baudens, medico capo della spedizione in Crimea, dichiara che ad essa va dato il merito di aver salvati i
Albero indigeno dell'Europa meridionale, a foglia caduca, originario dall'Egitto. Dà fiori rosei in aprile, frutti in maggio e giugno. Si moltiplica per semi, margotte, divisioni, innesto. Nel linguaggio dei fiori e piante: Promessa. Due le sue varietà principali: La ciliegia, propriamente detta, col picciolo piuttosto lungo, polpa consistente e dolce — della quale la varietà a pasta soda, più grossa delle ordinarie, la duracina, che a Firenze è chiamata la Ciliegia Pistoiese, da noi, Galfion, nome pervenutoci dalla Svizzera francese, dove si chiama pure Galfions. I francesi la chiamano Bigarreaux. E la marasca, o amerana sì rossa che nera (cerasus acida) con picciolo più corto, polpa meno consistente, sapore aciduletto, la cui varietà più bella e più preziosa à nome volgare di Marennoni. In Piemonte si chiama Griotte, dal francese agriote, quasi acerba. Noto pure il Cerasus avium, viscida, ciliegiola, marenella de' nostri monti, delle quali il proverbio: «Mille visciole non son bastanti ad una casa, ed una cerasa è di vantaggio ad una città,» e l'altro:
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chiamata la Ciliegia Pistoiese, da noi, Galfion, nome pervenutoci dalla Svizzera francese, dove si chiama pure Galfions. I francesi la chiamano
Si conservano essicate per l'inverno, si fanno cocere e fresche ed essicate, se ne fa giulebbe e la così detta marennata, o zuppa di amarasche, che cotte nel vino con zuccaro e droghe, si versano sul pane. Facendole fermentare, se ne ottiene una specie di vino, non forte, ma gradevole. Distillandone il succo già fermentato, misto a noccioli contusi e a qualche porzione di foglie ammaccate, abbiamo il così detto Kirchen-wasser (acqua di ciliege). Il migliore è quello della Selva Nera e del Voralberg, dei quali luoghi se ne può dire il principale prodotto. Se ne fabbrica pure nella Savoja francese e nelle nostre Alpi. Unito a spirito di lamponi, alcool, zuccaro e ad una certa quantità d'acqua, si ottiene il Maraschino, specialità della Dalmazia e propriamente di Zara. Macerando le marasche e distillandole con vino aleatico, aromi e zuccaro, si fa pure dell'eccellente Ratafià, celebre quello d'Andorno, almeno così si diceva una volta. I gambi o peduncoli, costituiscono un volgare rimedio diuretico. Se ne fa decotto in proporzione di 30 grammi in un litro d'acqua. Plinio asserisce che il primo che introdusse in Italia il ciliegio fu Lucullo l'anno 680 dalla fondazione di Roma, e ve lo portò da Ceresunto, città sulla spiaggia del Mar Nero:
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). Il migliore è quello della Selva Nera e del Voralberg, dei quali luoghi se ne può dire il principale prodotto. Se ne fabbrica pure nella Savoja
Ad indicare un individuo che si posa a uomo serio e d'importanza, il popolo milanese dice: el par quel che gh' à taccaa el piccol ai sciresE dalle ciliege abbiamo pure il proverbio:
Il coriandolo, o coriandro, o cimina, è pianta antica, originaria dell'Oriente e della Grecia, che passò in Italia e nella Francia meridionale, ove si è resa quasi indigena, e dove si coltiva negli orti. Si propaga per semi in aprile, si raccoglie in settembre, cresce dai 30 ai 90 centim., à foglie verdi chiare, fiori bianchi e porporini in maggio e giugno. Nel linguaggio dei fiori significa: Merito nascosto. Il suo nome coriandolo dal greco coris, cimice e da ambluno rintuzzare, perchè rintuzza la vista. I suoi grani freschi e le foglie verdi ànno un odore disgustoso di cimice, massime quando fa nuvolo e piove, per cui è anche chiamata: erba cimicina. Essicati sono gradevolissimi, aromatici, stimolanti. Entra il coriandolo nella composizione di molti liquori, in ispecie del Gin; serve come droga di cucina ed è condimento aromatico presso i popoli del nord. L'adoperano per aromatizzare la birra, lo mescolano al pane, lo masticano dopo il pasto, per facilitare la digestione, espellere le flattulenze e rendere gradevole l'alito della bocca. Gli Spagnuoli mettono le foglie del coriandolo nella zuppa, alla quale danno un sapore molto forte, e le mangiano pure in insalata. I medici gli assegnano virtù toniche, astringenti. Si amministra in infusione nell'acqua bollente e nel vino. Rivestiti i coriandoli di zuccaro se ne fanno confetti. Pestati e fatti cocere nell'acqua a densa decozione, servono contro le pulci spruzzandone le lettiere ed il suolo. I coriandoli, ànno dato il nome a quei proiettili di farina e gesso che negli ultimi giorni del Carnevalone insudiciano le vie, le case e gli abiti dei Milanesi. Gli antichi consideravano il coriandolo, allo stato verde, come erba velenosa, atta a produrre vertigini, sonnolenza, demenza. Varrone ci tramanda che il coriandolo trito e misto ad aceto serviva per conservare le carni nell'estate presso i Romani. La manna degli Ebrei somigliava al seme bianco del coriandolo del quale ne aveva pure il gusto (Ex., 16, 31) il che è confermato anche nel Libro dei Numeri (17, 7), tranne che ivi si aggiunge che la manna aveva anche il sapore del Bdellio, albero babilonese, trasudante una specie di gomma aromatica, ricordato pure da Plauto (Cure, Se. 2, a. 1) Tu crocum, tu casta, tu bdellium.
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bocca. Gli Spagnuoli mettono le foglie del coriandolo nella zuppa, alla quale danno un sapore molto forte, e le mangiano pure in insalata. I medici gli
Il Crescione è erba indigena dell'Europa, che fiorisce da maggio a luglio (fiorellini bianchi) in luoghi per lo più umidi, lungo i ruscelli, i fiumi, le roccie. Ama l'esposizione del nord e si risemina da sè. Nel linguaggio dei fiori: Piangere. I semi durano fino a 5 anni. Fornisce una saporita e sana insalata; per alcuni è però indigesta; meglio mescolarla alla cicoria. La si coce anche per zuppa e minestra, ma cotta perde molto della sua virtù. I rami fioriti, principalmente le foglie ànno sapore acre amarognolo che rammenta il ramolaccio, e sfregate mandano un odore forte, penetrante. È eminentemente antiscorbutica, e giova nelle affezioni miasmatiche o catarrose, nel reumatismo cronicopratico. Contiene poca materia nutritiva, eccita l'appetito ed al dire del Comi, è un rimedio per l'emeralopia ossia lesione della vista, che consiste nel non poter distinguere gli oggetti che quando sono illuminati dal sole. Il succo serve pure a togliere la xerasia altro nome difficile, che significa secchezza dei capelli. I francesi ne fanno guarnizione all'arrosto, e conserve, elisiri, ecc. In Romagna si chiama canei. Scaligero, alla vista del crescione, pativa le convulsioni.
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sono illuminati dal sole. Il succo serve pure a togliere la xerasia altro nome difficile, che significa secchezza dei capelli. I francesi ne fanno
Artemisia da artemos, sano, per le sue qualità medicinali. Arboscello indigeno. Vuolsi originario della Siberia, è perenne, ma ogni due o tre anni bisogna cambiarlo di posto, altrimenti intristisce e muore. À fiori piccolissimi e si propaga separandone le radici. Nel linguaggio dei fiori: Basto a me. Le foglie e l'estremità tenere dei rami si mischiano all'insalata e principalmente alla lattuga. Essendo molto aromatico e piccante dà pure sapore alle carni. Col dragone si aromatizza l'aceto, al quale comunica un grato sapore. Il dragone è sempre stato considerato un sano e gratissimo profumo culinario. Dioscoride ne parla e i Greci ne ornavano i loro orti. Eccita l'appetito, dissipa le flattulenze e provoca la salivazione.
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me. Le foglie e l'estremità tenere dei rami si mischiano all'insalata e principalmente alla lattuga. Essendo molto aromatico e piccante dà pure sapore
La vicia faba maxima era detta la fava dei morti, epiteto superstizioso in uso, prima che la medesima fosse introdotta in Roma. Al tempo di Asclebiade si credeva necessario, come prova di morte reale, di porre in bocca del morto tre fave ed ivi tenerle per 48 ore. Ingrassate, le ponevano in terra coltivandole con cura e devozione, perchè in quelle fave doveva germogliare la vita del defunto, nella cui bocca aveva incominciati il germoglio e ciò serviva a constatare pure il decesso. Dalla fava ebbe nome la onorata e guerriera famiglia dei Fabi romani, dei quali Plinio scrive, che in una rotta ch' ebbero i Romani coi Vajenti, furono trecento che lasciarono la vita solamente di questa famiglia. Onde quei versi:
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serviva a constatare pure il decesso. Dalla fava ebbe nome la onorata e guerriera famiglia dei Fabi romani, dei quali Plinio scrive, che in una rotta
. Tutti gli scrittori greci ebbero pure lodi per il fico. Era tradizione che fosse la passione di Ercole. Platone era sopranominato l'amante delle uve e dei fichi. Galeno, che non mangiava frutto alcuno aveva delle tenerezze pel fico e per l'uva, che chiamava meno inutili, e ne proclama le virtù, tra le quali
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. Tutti gli scrittori greci ebbero pure lodi per il fico. Era tradizione che fosse la passione di Ercole. Platone era sopranominato l'amante delle
, però soggiunge che fa venire la pancia obesa e cita ad esempio i custodi delle vigne, gli ortolani, onde forse l'altro proverbio: salvare la pancia per i fichi. Gli Ateniesi ne tenevano sacra la pianta, che fu loro portata da Naxio Dionisio. Filippo, padre di Perseo, in Asia cibò il suo esercito coi fichi, e Plinio difatti racconta che in molti luoghi il fico teneva luogo di pane. In Sicilia fu portato da Titano Oxilon, figlio di Osio. Dai Greci si mangiavano pure in insalata e il volgo li faceva essicare salati al sole. I Persiani ed i Greci erano ghiottissimi del fico secco. Lo cocevano colla maggiorana, l'issopo ed il pepe, e lo davano anche ai malati. Gli atleti si rinvigorivano coi fichi a prepararsi alla lotta. Si vuole che Mitridate, a sicurezza del veleno che prendeva, mangiasse fichi secchi con ruta e sale, quale antidoto. Se ne faceva pure un liquore vinoso, che chiamavano Sycites o catorchites. Fu sotto il fico che furono trovati i due fondatori di Roma, mentre erano allattati dalla lupa, che dal nome del fico, Ruminal, presero il nome di Romolo e Remo. Svetonio ci riferisce, che ad Augusto piacevano sommamente i fichi freschi, e che li mangiava anche prima di cena:
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Greci si mangiavano pure in insalata e il volgo li faceva essicare salati al sole. I Persiani ed i Greci erano ghiottissimi del fico secco. Lo cocevano
Fico d'India (cactus opuntia vulgaris. Ficus Indica). — È originario dall'India e dall'Africa, da noi cresce in Sicilia e nelle provincie meridionali, in luoghi asciutti ed aridi. È un alberetto dai 2 ai 3 metri, che vive fino ai 50 anni, dà fiori giallastri, frutti rosei da agosto a dicembre, della forma del fico. Contengono una polpa refrigerante, salubre, mangiabile, purchè se ne sputino i semi, e rende l'orina color rosso sangue. Sono alquanto scipiti. Le sue foglie tagliate a metà ed applicate sulle parti dolenti per artrite e pleurisia, dànno spesso ottimo risultato. Sono adoperati per fabbricare alcool e forniscono una salsa che per il povero sostituisce quella del pomidoro. Se ne fa pure mostarda, e se ne estrae una materia colorante color cremisino.
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fabbricare alcool e forniscono una salsa che per il povero sostituisce quella del pomidoro. Se ne fa pure mostarda, e se ne estrae una materia
Che che ne sia, il fungo dà un piatto molto saporito e ghiotto. Si frigge, si trifola, si unisce a mille intingoli, copre delle sue ali il risotto, regna sovrano nella polenta. È indigesto mangiandone in quantità ma à virtù stomatiche e corroboranti, dovute agli aromi dei quali è ricco. Si conserva pure per l'inverno io speciale salamoia o concia, e secco. Sono più sani e saporiti in generale i piccoli, rigettate quelli che sono coriacei. Gli antichi credevano fosse il prodotto del tuono e del fulmine, per cui lo addimandavano calabates. Anche loro furono sempre ghiotti dei funghi. Seneca scrisse: sono ghiotta cosa i funghi, e li chiamava: voluttuoso veleno. Chi avesse potuto far capolino nel tablinum dei Romani, vi avrebbe veduto i loro senatori mondare, essi medesimi, i funghi con un coltellino a manico d'ambra, perchè, i ghiottoni, ne volevano sentire anticipatamente col loro naso senatoriale, gli effluvi del primo profumo. È ben vero che anche allora la razza dei funghi assassini faceva la pelle a molti, per cui avevano il proverbio:
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pure per l'inverno io speciale salamoia o concia, e secco. Sono più sani e saporiti in generale i piccoli, rigettate quelli che sono coriacei. Gli
. Ma alla lente era preparata una gloria assai maggiore di quella di servire di sofà ad un'anitra o ad una salsiccia. L'inglese Warton inventò la famosa Ervalenta (dal suo nome ervum lens) e la fe' passare come un prodotto di pianta forastiera ed il pubblico credenzone correva a pagare 10 lire al chilogrammo la farina di lenti che valeva 20 centesimi. Poi dai Du-Barry disputatisi coi Warton nel 1854 il privilegio di gabbare il mondo, ne venne la Revalenta o Revalescère, la famosa Revalenta arabica che guarisce da tutti i mali. Sottoposta dal Consiglio di Sanità di Londra e dall'illustre Payen di Parigi a coscienziosa analisi risultò composta per la massima parte di farina di lenti scorticate, coll'aggiunta in varie proporzioni di quella di piselli, di melica, sorgo, avena, orzo e una centesima parte di sale di cucina. Pure il Du-Barry continua l'allegro commercio con le più belle trovate di ciarlataneria.
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piselli, di melica, sorgo, avena, orzo e una centesima parte di sale di cucina. Pure il Du-Barry continua l'allegro commercio con le più belle
. Il che vuol dire: il limone tiene lontano il medico e le malattie. Esternamente, il limone si adopera come astringente, rubefaciente, antigangrenoso, nella cefalgia. Poche goccie nell'acqua costituiscono un collirio semplice ed utilissimo nelle oftalmie. Coi semi fanno emulsioni per affezioni isteriche e nervose. Ammaccati e bolliti nell'acqua e nel brodo costituiscono un apiretico infallibile e sicuro nelle febbri intermittenti. Dal limone si cava l'acido citrico scoperto da Scheele nel 1784, che riscaldato coli' alcool ed acido solforico dà l'etere citrico. L'acido citrico si prepara in grande specialmente in Inghilterra per le arti tintorie. Serve agli stessi usi del succo, in modo da fare una limonata estemporanea alla dose di 1 grammo o 2 con 30 di zuccaro in 500 litri d'acqua, aggiungendo qualche goccia di essenza di cedro o d'arancio. L'acido citrico serve pure alla fabbricazione delle polveri di Seltz, ecc. L'acido del sugo di limone rode la carie dei denti. Ricchissima di aroma è la sua pellicola gialla, detta Zeft, che pure si adopera in cucina raschiandola e levandola leggermente, perchè la parte bianca, oltre non avere aroma, à sapore molto amaro. I Milanesi danno del limon a chi è furbo senza darsene per inteso, e del limon senza sug ad uno sciocco.
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grammo o 2 con 30 di zuccaro in 500 litri d'acqua, aggiungendo qualche goccia di essenza di cedro o d'arancio. L'acido citrico serve pure alla
Il melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio addossato ai muri, ama esposizione soleggiata, calda, difesa dai venti. Teme l'umidità ed il gelo. Si propaga per seme, margotte, talloni. Se ne annoverano dal sapore dei frutti tre varietà, dolce, acido, ed agro dolce. Si coltiva molto in Spagna, dove i frutti vengono grossissimi ed aromatici. Fiorisce in giugno e luglio, si raccolgono i frutti immaturi alla fine di settembre perchè, aspettando più tardi, la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata, e à dato pure il nome al rosso violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si riempiono con sabbia ben asciutta e se ne tura l'orifizio con bon coperchio. Così conservato acquista anche maggior grado di maturanza. Questo frutto sferoideo, bellicato, è rivestito di scorza coriacea prima verde, poi rosso scuro, che raccoglie in segmenti divisionali semi numerosi, involti in una polpa rosea, pelucida, succosa, gradevole, pochissimo nutriente, ma rinfrescante e salubre.
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punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata, e à dato pure il nome al
, dice Ovidio (Egl., 15). È frutto cercato ghiottamente, dalle signorine e dei ragazzi. Serve al dessert. I grani, somiglianti ai rubini, nettano i denti e movono l'appetito. Dal succo, espresso e fermentato, se ne fa una specie di vino che una volta si chiamava: vino del Palladio. Se ne compongono più comunemente sciroppi e conserve deliziose, confetture delicatissime, ghiotti giulebbi e gelati. I fiori del melagrano si usavano come astringenti in polvere e decotto — oggi macerati con allume nell'acqua danno un bell'inchiostro rosso, come la buccia, macerata con allume pure lo dà nero. La buccia, o perpicarpio, detta malicorion, ricca di principio amaro, contiene moltissimo tannino e viene utilmente impiegata nella concia delle pelli. A Tunisi serve a tingere in giallo i così detti Marocchini. In medicina viene somministrata per uso sì interno che esterno, come astringente e dei più energici. Arago, nella sua Promenade autour du bionde, dice, che a Timor si usa nella dissenteria. In Persia al Thibet, nella China, fra gli Arabi ed anche in Russia al dire del Rehmann viene adoperata come succedaneo al chinino. Il seme risulta di una buccia cartilaginea e di un màndorlo bianco, dolce, da cui si può spremere olio. La radice, e precisamente la corteccia della radice, gialla all'interno, bigio-cenericcia all'esterno, à sempre goduto dall'antichità fino a' giorni nostri fama di tenifuga quando è fresca e caccia pure le ascaridi.
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in polvere e decotto — oggi macerati con allume nell'acqua danno un bell'inchiostro rosso, come la buccia, macerata con allume pure lo dà nero. La
La calunnia sta nell'affibbiare a questo frutto delle proprietà eccitanti che non à mai avuto, e la bugia nel dire che è frutto cattivo. Se anticamente le chiamavano mele matte, in Francia la battezzarono poi con l'epiteto di poma d' amore. Il sapore amarognolo che ad alcuni può dispiacere, si leva cospergendo le fette di melanzana con sale e lasciando che il sugo assorba il sale per qualche ora. Dopo si fanno cocere, e la migliore cucinatura sarà il farle friggere, perchè acquistano il sapore di funghi. Da noi la migliore e la più comune è quella violetta, che è pure ricordata dal Boccaccio, che ne era ghiotto, nell'Amleto. Il nome di Petronciana è derivato dalla sgarbata scilinguatura del volgo di pera insana. La parola volgare di meresgian, si vuole venga da mela di Giano, cioè sacra a Giano.
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sarà il farle friggere, perchè acquistano il sapore di funghi. Da noi la migliore e la più comune è quella violetta, che è pure ricordata dal Boccaccio
I Greci chiamavano la nocciola: nux pontica, per essere stata portata, al dir di Plinio, in Asia e in Grecia da Ponto, come pure si chiamava a Roma nux praenestina, perchè, secondo Macrobio, la nocciola abbondava a Preneste, l'attuale Palestrina, su quel di Roma, sì che assediata da Annibale, gli abitanti furono salvati dalla fame dalle nocciole. E dai Latini furono poi dette avellane od abellinae, da Abella, città della Campania, l'attuale Avellino, dove maturavano saporitissime e assai rinomate. I nostri vecchi facevano un certo decotto, colle foglie del nocciolo, che dicevano assai buono contro il morso degli scorpioni. In alcuni luoghi della Francia le nocciole erano buttate via dagli sposi, come oggi da noi i confetti, in segno d'allegria. Morte, vita e miracoli della nocciola si leggono in questi versi barocchi di frate Giromino da Varese:
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I Greci chiamavano la nocciola: nux pontica, per essere stata portata, al dir di Plinio, in Asia e in Grecia da Ponto, come pure si chiamava a Roma
di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominia; causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele, parlando dei falsi profeti dice:
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di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più
(Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo (vedi In Isaiam) dove pure ci dice che i cinque pani coi quali il Redentore saziò la turba, erano d'orzo. Lo stesso S. Gerolamo asserisce, aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea. Il parroco bavarese Kneipp lo regala al prossimo come eccellente caffè. Che bon prossimo !
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(Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo (vedi In Isaiam) dove pure ci dice che i cinque pani coi quali il Redentore saziò la turba, erano d
La Pastinacca, dal latino pastus, nutrimento, per le sue qualità alimentari, è una radice che somiglia alla carota, carnosa, bianchiccia, aromatica, biennale. I semi producono solo 2 anni. Si semina in marzo, aprile, maggio, in terreno sostanzioso e lavorato profondamente. Ama essere innaffiata d' estate. Si conserva benissimo anche in terra, non teme il gelo. Fiorisce nel luglio ed agosto del secondo anno che è stata seminata. Cresce naturalmente nei prati, nei pascoli e tappeti erbosi. Si coltiva negli orti ad alimento. Nel linguaggio delle piante: Sei pazzo. In Italia è poco coltivata. La radice grossa della pastinacca coltivata è saporitissima, si usa cotta in minestra, accomodata col burro ed in insalata. Oltre le radici che sono molto nutritive, si mangiano pure le foglie che sono assai bone ed aromatiche. Mèrat dice:
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molto nutritive, si mangiano pure le foglie che sono assai bone ed aromatiche. Mèrat dice:
Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina che è veleno. Vi sono stati casi di avvelenamento di patata che si manifesta coll'idrope e piaghe cancrenose all'estremità.
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Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina
Il pepe lungo (piper lungum, macro piper), nasce nel Bengala e nelle isole Molucche, à gettini lunghi un pollice circa, grossi come una piccola penna da scrivere, di color cenere. Il loro sapore è più acre e meno grato del pepe nero e di un odore perfettamente, simile. Entra nella composizione di alcuni elettuari, ma il consumo maggiore si fa dagli acetai, i quali lo infondono nell'aceto debole per renderlo acre. Gli Indiani poveri lo macerano nell'acqua, e così reputano renderla stomatica. Ne mettono pure in conserva i racemi immaturi nella salamoia, e serve loro a tavola e nelle insalate. Venne pure chiamato pepe lungo il nostro peperone. Il pepe della Giammaica, o pimento degli Inglesi, o pepe garofanato, è della grossezza di un pisello, di color grigio-rossastro, rugoso. À odore aromatico analogo a quello della canella e del garofano, sapore piccante quanto il pepe. Questa droga è di gran uso nei paesi caldi, in Germania ed in Inghilterra per condire le vivande, ed è uno dei principali ingredienti per la composizione delle spezie. Quello che si usa sotto il nome di pepe di Cajenna (Vedi Peperone), non è altro che il seme e la capsula seminale di una pianta selvaggia del Sud dell'America, che è coltivata nelle Indie e che si chiama Capsicum baccatum, annuum et fructescens. Poche sostanze, fino dai tempi remotissimi, furono oggetto di tante falsificazioni quanto il pepe. Una buona regola, è quella di comperar sempre pepe in grana e di polverizzarvelo da voi a norma del bisogno, valendosi di quei piccoli macinatoi di pepe, oggi molto diffusi. Per falsificare il pepe nero servono farine d'ogni genere, segatura di legno, panelli oleosi, terre, gesso, ecc. Il pepe bianco si usa renderlo più pesante stacciandolo insieme a gomma, amido, calce, gesso, biacca, ecc. Nè solo si falsifica in polvere, ma pure in grani, e ciò abilmente con semi, argilla, gesso e polvere di pimento, in Inghilterra, in Germania e in Francia. A Parigi, lo afferma Chevallier, v'è una fabbrica che produce annualmente 1500 chilogrammi di una miscela che si vende unicamente per adulterare il pepe. Riesce facile riconoscere il falso pepe in grana, mettendolo nell'acqua, che allora i falsi grani vanno prontamente al fondo e si sciolgono in poltiglia. Il pepe è un aroma potente e popolare che condisce la minestra del povero e rende pizzicanti gli intingoli del ricco. Eccita la salivazione, favorisce la digestione, ma irrita, preso smodatamente, gli intestini delicati.
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nell'acqua, e così reputano renderla stomatica. Ne mettono pure in conserva i racemi immaturi nella salamoia, e serve loro a tavola e nelle insalate
Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia fresca e cotta giuleppata, come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi, la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si fa pure essiccare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante, analogo al sidro delle poma, ma alquanto più alcoolico. La pera estiva, dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae acquavite bonissima. Il legno del pero è durissimo, unito, compatto e viene adoperato dai tornitori ed ebanisti, che lo colorano in nero per darci il falso ebano; dà un fuoco forte. La Scuola salernitana dice del pero:
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fa pure essiccare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante, analogo al sidro delle poma, ma
Il che, in due parole, vuol dire: che la pera è migliore cotta che cruda e che bisogna inaffiarla di vino. Dagli scrittori greci sappiamo, che il Peloponeso era ricchissimo di pera, ed erano celebrate quelle dell'isola di Cea. Omero, nell'Odissea, descrivendo il giardino del re Alcinoo, ci parla di tre qualità di pera. A Roma erano celebri le Tiberiane, una specie che maturava in autunno e cosi dette, perchè erano le ricercate da Tiberio, così riferisce Plinio. La pera è celebrata pure da quel ghiottone d'Orazio. Gli antichi Romani a tutte le specie preferivano la pera celebrata anche da Cornelio Celso e da Columella.
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riferisce Plinio. La pera è celebrata pure da quel ghiottone d'Orazio. Gli antichi Romani a tutte le specie preferivano la pera celebrata anche da
È un grande albero a foglia caduca, originario delle Indie Orientali, della Persia, dell'Arabia e della Siria. Fra Damasco ed Aleppo ve ne ànno selve intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi quanto una oliva, contenenti un nocciolo che apresi in due valve, entro le quali trovasi una màndorla verde coperta d'una pellicola rossastra, d'un sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i difetti è da mettersi insieme al pignolo. Contiene molto olio, che è facile estrarre con semplice pressione. Serve a preparare alcune emulsioni, affatto simili a quelle delle màndorle dolci, prescritte nelle infiammazioni degli intestini e delle vie orinarie. I confetturieri ne fanno grande uso in paste e confetti. I salumai ne regalano le galantine e certi salami a cuocersi. I cuochi lo mettono nei polpettoni e nei croquants, che i fiorentini chiamano pistacchiata. Se ne fa pure una eccellente conserva. Gii Arabi lo chiamano pustach, e gli Olandesi pistassies. Vuoisi che chi lo portò in Italia fosse il console romano Lucio Vitellio, sotto Tiberio, di intorno dalla Siria, come Fiacco Pompeo, suo commilitone, lo portò pel primo, in Spagna.
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intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non
Il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, cosi pure d' ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più digeribile dei frutti, è simpatica, profumata, saporita, durevole, è l'amore dei bambini. Sul suo profumo, Ovidio, nella 7.a Metamorfosi (v. 675), diceva:
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Il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, cosi pure d' ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più
. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela acquista molta importanza economica, per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d' Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi della lebbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio, dopo aver creato la luce e divise le aque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d' ogni disgrazia.
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. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un
Ma invece pare che il primo sia stato un certo Adamo, consorte legittimo della signora Eva, che prima ancora di quell'ubbriacone di Bacco, lo volle mordere co' suoi candidi dentini. Può considerarsi maturo quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza e a cadere spontaneamente; indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi, importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco, anche
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cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi, importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure
all'odore, perchè quest'ultima puzza tagliandola, e tramanda un odore disgustoso di sorcio. Tutta la pianta del prezzemolo à odore e sapore aromatico, rende i cibi più sani e più aggradevole eccita l'appetito e favorisce la digestione. Entra gradito ospite nelle minestre, nelle zuppe, pietanze, guazzetti e salse. Ercole, dopo aver ucciso il leone Nemeo, si cinse la tempia con una corona di prezzemolo, da qui la consuetudine d'incoronare i vincitori nei giuochi nemei. Plinio assicura che l'uso del prezzemolo dà bon odore al nostro corpo. À pure la proprietà di dissipare l'ubbriachezza e di aiutare l'immaginazione. I poeti si incoronavano di prezzemolo, onde Virgilio:
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vincitori nei giuochi nemei. Plinio assicura che l'uso del prezzemolo dà bon odore al nostro corpo. À pure la proprietà di dissipare l'ubbriachezza e di
Il ribes è un arboscello europeo a foglia caduca, originario dell'Arabia. Il suo nome da ribiz, parola araba, che significa cosa acidula. Nel linguaggio delle piante: Stizza. Vuole clima temperato, nei paesi caldi il frutto à poco sugo, nei freddi è troppo acido. Ama terreno sciolto e fresco. Si moltiplica per semi, margotte e talee. Si educa a spalliera ed a siepe. À fiori odorosi in aprile e matura più o men tardi a seconda delle varietà. Di queste se ne conoscono 31, ma le principali sono: il ribes ordinario (ribes rubrum), con frutto a grappolo rosso e bianco più o men grosso. L'uva spina o d'Inghilterra (ribes uva spina, ribes grossularia). Mil.: Uva spina. Franc.: Gadelier. Ted.: Stachelbeere. Ingl.: Roug Goosberry che cresce a grappolo ed a frutti più grossi e carnosi e meno acidi. Finalmente il ribes nero (ribes nigrum) di sapore più aromatico, odorifero in tutti i suoi organi, a foglia variegata. La più coltivata, è la prima specie, il cui frutto vien conservato allo stato fresco e serve a far sciroppi e bevande spiritose. Se ne estrae anche acido citrico. La seconda specie, che conta pure le sue varietà, è coltivata con arte raffinata dagli Inglesi, che ne preparano il loro rinomato vino d'uva spina. Del ribes nero, gli Svizzeri ne fanno pure una bevanda spiritosa, una specie di ratafià detto Cassis. Nel linguaggio dei fiori: Tu fai la mia delizia. I frutti del ribes rosso si mangiano crudi, si conservano in aquavite, si candiscono, se ne fanno giulebbi, e serve pure a far salsa, aque, sciroppi e sorbetti. Serapione ne parla, ed è lui che ne indica l'origine africana. Le donne e le ragazze amano molto questo frutto che dà l'aspretto del limone. L'uva spina era detta da noi anche uva crispina e marina e la si metteva nelle minestre, guazzetti ed intingoli ai quali comunicava un certo bruschetto grazioso, dice il Pisanelli. In medicina è considerato un rinfrescante ed un astringente.
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. Se ne estrae anche acido citrico. La seconda specie, che conta pure le sue varietà, è coltivata con arte raffinata dagli Inglesi, che ne preparano il
. Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti-etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventare bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Si dice che il riso come viene va, viene dall'aqua e in aqua va. Il riso è la ricchezza dei nostri fittaioli: Fittavol de ris, fittavol de paradis.
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. Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama
Il nome di rosa dal greco rhodon, rosa, o dal celtico roag che significa rosso. La rosa è la regina dei fiori, la figlia del cielo, il sorriso della primavera, l'emblema dell'innocenza e della fugace bellezza femminile. Le sue varietà si contano a migliaia. Qui non dirò che della canina, la quale è la più semplice di tutte le altre. Fu detta rosa canina o rosa di cane, perchè fu creduto, fino dall'antichità, che la sua radice fosse efficace contro la rabbia del cane. Anche i Greci la chiamavano cinorrhodon, da don, cane e rodhon, rosa. Da noi si chiama anche Rovo. Nel linguaggio dei fiori, la rosa canina significa: Indipendenza. È un arboscello indigeno che viene lungo le siepi di montagna, nei luoghi aprichi, che dà in maggio una rosetta pallida, semplice, di cinque foglie. Ai fiori succedono alcune frutta ovali, bislunghe, rosse come il corallo nella loro maturità, la di cui scorza è carnosa, midollosa, d'un sapor dolce-aciduletto e che racchiude alcune semenze, inviluppate d'un pelo consistente, che attaccandosi alle dita penetra nella pelle e vi cagiona molestie. Tali semi posti nel letto ad alcuno per celia fecero sì che questo frutto prese il nome poco castigato di grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una località indicata nella seconda parte di quel disgraziato vocabolo e vi richiama l'azione indicata pure nella prima parte del surriferito disgraziato vocabolo. Tale appellativo, non si vorrebbe mai pronunciare dalla gente pudibonda, ma che è pure registrato presso i più seri botanici; è costretta a ripeterla, colle gote vermiglie, anche la damigella sortita di collegio, se vuol dimandare di quel delizioso sciroppo che danno i prefati grattaculi. Il Cherubini nota che da alcuni viene chiamata salsa di ciappetti, ma è un eufemismo. Il quale eufemismo è una figura rettorica incaricata di stendere un velo si, ma trasparente, su
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località indicata nella seconda parte di quel disgraziato vocabolo e vi richiama l'azione indicata pure nella prima parte del surriferito disgraziato
La scorzonera è una pianticella erbacea, della famiglia delle cicorie, della quale si mangiano le radici. Se ne conoscono 8 varietà. Da noi solo due se ne coltivano. La bianca (tropogon porrifolium), che è annuale, e si semina in primavera, per raccoglierne le radici in ottobre ed in seguito, e vuole terreno profondo e grasso. La virtù del seme è di 2 anni. È dolce e si fa friggere e conciare con burro come i legumi e in insalata. L'altra, la nera o salsifino (scorzonera hispanica) è meno coltivata delle precedenti, perchè meno preferibile. È biennale, e produce una lunga e carnosa radice a pelle nera e carne bianca, di gusto amaro, che mangiasi pure a mo' dell'altra. Si semina egualmente, à fiori violacei in luglio. Nel linguaggio dei fiori: Rozzezza. Benchè biennale, nel secondo
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pelle nera e carne bianca, di gusto amaro, che mangiasi pure a mo' dell'altra. Si semina egualmente, à fiori violacei in luglio. Nel linguaggio dei
La segale è pianticella germinacea, annua, indigena. È il cereale dei paesi freddi, montuosi. Si semina in autunno e raccogliesi nell'estate vegnente. Nel linguaggio dei fiori: Bisogno. Matura più presto del frumento. La segale è meno nutritiva del frumento e meno atta a far del pane che riesce umidiccio e di diffìcile digestione. Viene nullameno usata a far pane nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania settentrionale e specialmente in Russia dai poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'aqua, la farina di segale serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in medicina per uso esterno come mollificante e risolutivo. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fa impazzire). La paglia lunga e forte, per la molta silice che contiene, è utilissima a coprire capanne campestri, tettoie, grondaie, ecc. Una specie di malattia che sopravviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino, in francese ergot. Il suo nome dal celtico segàl che significa falce, d'onde in latino il nome generico segestes alle biade, che si falciano, mentre i legumi e le frutta si colgono. La segale non pare fosse conosciuta dai Greci, nessuno dei loro scrittori ne parla. Dei Latini il solo Plinio ne fa menzione, ma come di grano infimo e di nessun conto.
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poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col
Il Susino di macchia o Pruno selvatico (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi, dà fiori odorosi in marzo ed aprile, frutto nero violaceo in maturanza verso il settembre, di sapore acido aspro. La scorza del suo tronco e della radice contiene tannino e viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente, febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à virtù deprimente quasi come il Lauro cereso, i bottoni e i fiori sono lassativi. Le drupe essendo aspre, danno bon aceto. Mature servono a colorire il sidro ed il vino, anzi a fabbricarne una specie che chiamasi piquette in Francia, Scheleckenwein in Germania; seccate al sole ed infuse in vero vino gli danno sapore austero. Colla distillazione somministrano un'aquavite abbastanza spiritosa, ed acconciandole con alcool, zuccaro e aromi se ne ottiene un grato rosolio.
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viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente, febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à
Si conservano pure a lungo nella loro terra natale, coprendoli di sabbia od argilla ben secca e polverizzata di modo che non abbiano a toccarsi. Si chiudono poi in vasi impermeabili. Facendoli seccare perdono gran parte del loro profumo.
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Si conservano pure a lungo nella loro terra natale, coprendoli di sabbia od argilla ben secca e polverizzata di modo che non abbiano a toccarsi. Si
) per un tempo prolungato, onde possa produrre salutari modificazioni nell'organismo. Essa ingrassa, è sostanza nutriente, riconfortante nell'atonia-languore del ventricolo, nella gastrorrea, conviene nella pletorrea addominale, calma l'irritazione degli organi respiratori, mitiga la tosse, facilita l'espettorazione ed è indicata nella tubercolosi. La cura dell'uva si schiera più simpatica, e fors'anche più sicura a fianco di quelle delle tante aque minerali, del siero e dell'olio di fegato di merluzzo. Questa cura è in favore più all'estero che da noi. Si fa sistematicamente ed in grande in Germania, a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del Reno da Mainz a Coblenz — in Slesia a Grümberg — in Tirolo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni, o a meglio dire le fangature di vinaccie, sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni nevralgiche, ecc. Dall'uva e dal vino, mercè una fermentazione acida, se ne cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
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cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
Si fa dell'aceto al cressone, al sedano, alla menta. Per i due primi, ogni litro d'aceto, abbisognano 15 gr. di grani o semi di cressone o sedano, e vi si lasciano infusi per 10 giorni, scotendo ogni dì la bottiglia. Alla menta, si riempie un flacone a bocca larga di foglie di menta fresche e ben lavate. Vi si mette sopra, del bon aceto e si chiude. Dopo tre settimane d'infusione si filtra e si conserva in bottiglia ben chiusa. Così si può fare pure l'aceto di violette, che à di queste il dolce profumo e il grazioso colore. (Baronessa Staff).
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pure l'aceto di violette, che à di queste il dolce profumo e il grazioso colore. (Baronessa Staff).
Chiarificazione dello zuccaro e maniera di farne sciroppo vergine. — Lo sciroppo vergine serve a preparare qualunque altro sciroppo e a conservare ogni genere di frutta. Lo zuccaro più economico e conveniente è l'avana bruno, gli altri zuccari non danno quasi mai uno sciroppo di gusto schietto o se lo danno, viene a costare di più e vogliono maggior lavoro. Lo sciroppo, perchè si conservi lungamente, bisogna segni all'areometro dello sciroppo gradi 28 quando è caldo e 32 freddo. L'areometro è uno strumento, che fa conoscere la gravità specifica dei vari fluidi nei quali si immerge, e chiamasi pure pesa sciroppo, pesa liquori, vino, acidi, pesa latte, ecc.
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pure pesa sciroppo, pesa liquori, vino, acidi, pesa latte, ecc.